A osservarla dall’alto, la Terra può a buon diritto essere chiamata pianeta “blu”: la superficie terrestre è infatti ricoperta per il 71% di acqua, per un volume pari a 1400 km3. Solo il 3% di questa acqua è però acqua dolce. Praticamente è come avere una vasca piena e poter disporre solo di un cucchiaino.
Nonostante i numeri scoraggianti si tratta di una quantità ancora sufficiente a soddisfare il fabbisogno dell’attuale popolazione mondiale. E’ nella cattiva ripartizione delle fonti sul pianeta che vanno ricercate le cause di questi dati spaventosi problemi. La penuria di acqua varia secondo le zone geografiche: laddove il Canada dispone di risorse quasi illimitate di acqua di buona qualità, molto superiori al suo fabbisogno, l’Egitto dispone di risorse 100 volte inferiori. Inoltre c’è una disastrosa politica di gestione di tale bene, per esempio in un Paese come il Brasile dove l’alta percentuale di acqua non equivale alla sua disponibilità per la popolazione locale: 840 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 1.000 bambini muoiono ogni giorno per malattie diarroiche legate ad acqua non sicura, mancanza di servizi igienico sanitari, scarsa igiene.
Ebola, colera e malaria sono solo alcune delle malattie a cui vanno incontro le popolazioni che non hanno accesso all’acqua potabile. Molte di queste sarebbero facilmente prevenibili se si avesse accesso ad acqua pulita, ma con razioni di acqua limitate o di cattiva qualità, è difficile mantenere l’igiene nella preparazione del cibo e nella cura della persona.
In Africa invece procurarsi acqua potabile significa camminare 4-5 ore al giorno, spesso in condizioni avverse. Sono sempre le donne e le ragazze, a volte poco più che bambine, a dover compiere questo tragitto. Sono ore che sottraggono ad altri compiti, all’istruzione innanzitutto, e che pesano nell’equilibrio energetico precario di chi non ha nutrimento sufficiente.
Il nostro modello di sviluppo e gli eccessivi consumi nelle aree urbane sono le due facce dello stesso problema. Agricoltura ed industria consumano in gran parte acqua potabile, che restituiscono spesso inquinata. I processi di inquinamento, l’irrigazione agricola intensiva, lo sperpero di acqua da parte delle attività industriali, le perdite nel sistema idrico fanno sì che circa la metà delle aree umide del pianeta Terra siano già andate perse e gli ecosistemi dell’acqua potabile siano in degrado.
Dall’altra parte, i consumi individuali crescono, e crescono troppo in fretta (2,5% all’anno, due volte di più la crescita della popolazione mondiale). Tra il 1960 e il 1990 l’uso mondiale dell’acqua è triplicato, facendo sì che l’acqua dolce diventasse una risorsa sempre più “rara”, sebbene indispensabile per la vita umana.
Al tasso attuale di crescita, la domanda mondiale di acqua per uso domestico e industriale potrebbe più che raddoppiare entro il 2050, mettendo a rischio la sua disponibilità per le generazioni future. Molti rubinetti resterebbero asciutti, e potremmo sperimentare cosa significa vivere in Repubblica Democratica del Congo, dove più della metà della popolazione non ha accesso a fonti di acqua potabile.
Se ci ostiniamo a mantenere questi livelli di consumo e di sviluppo intensivo, non solo non risolveremo il problema delle 840 milioni di persone che oggi soffrono la sete e le sue conseguenze, ma aumenteremo drammaticamente il numero di chi vive come loro. Del resto, già nel 1995 Ismail Serageldin, allora vicepresidente della Banca Mondiale, affermava: “Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua”. Uno scenario apocalittico, certo, ma non del tutto irrealistico se pensiamo che da qui al 2050 sulla Terra ci saranno 2 miliardi in più di abitanti.
Per far fronte all’aumento del numero di Paesi che si troveranno in situazione di stress idrico e per limitare potenziali conflitti per la gestione delle fonti di acqua potabile, occorre migliorare la produttività dell’uso dell’acqua in tutti i suoi settori (agricolo, industriale e domestico), ottimizzando il rapporto tra domanda e prelievo. In questo modo non solo si proteggeranno le risorse disponibili, ma si potranno salvaguardare quelle economiche per destinarle all’esigenza delle popolazioni che ancora non hanno accesso all’acqua.
Chi ha a cuore il pianeta e il futuro dell’umanità non può che impegnarsi perché l’acqua sia un bene pubblico a disposizione di tutti. L’uomo è il responsabile di questa situazione: all’uomo spetta lavorare per cambiarla.
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